Una politica industriale europea per il settore dell’alluminio

L’intera filiera europea dell’alluminio ha bisogno di politiche differenti e specifiche a sostegno della produzione primaria e del downstream. Per superare l’inefficace sistema di dazi sull’importazione di metallo primario

L’industria dell’alluminio è essenziale per l’economia dei paesi moderni in quanto fornisce una gamma di prodotti e componenti altamente differenziati utilizzati come input per la realizzazione di una varietà di beni finali e di investimento. A riprova del ruolo sempre più strategico di tale industria, nel corso degli ultimi anni la domanda di alluminio primario a livello mondiale è praticamente raddoppiata passando da 32,6 a 64,2 milioni di tonnellate nel periodo 2005-2019 ed è stimata crescere ulteriormente fino a quasi raggiungere 71 milioni di tonnellate nel 2023 (si veda Figura 1). Nel 2020 il fatturato globale dell’industria dell’alluminio ha raggiunto i 130 miliardi di euro con una crescita attesa nel periodo 2021-2027 a un tasso annuo composto superiore al 5%, nonostante il forte rallentamento imposto dalla crisi economica connessa all’emergenza sanitaria COVID-19. I principali ambiti di utilizzo dell’alluminio sono senz’altro i settori dei trasporti, delle costruzioni, del packaging, dell’elettronica e dei macchinari. I tradizionali driver della crescita attesa della domanda globale di alluminio sono rappresentati dalle specifiche caratteristiche prestazionali legate principalmente a leggerezza, elevata resistenza, duttilità e conduttività elettrica e termica, ma è importante rilevare come oggi un suo maggiore impiego sia ritenuto soprattutto funzionale al progressivo miglioramento delle performance ambientali. L’alluminio è infatti ritenuto fondamentale da molte industrie a valle per il progresso delle performance ambientali dei propri prodotti. A titolo di esempio, nel settore dell’automotive, le imprese stanno sempre più privilegiando l’alluminio in sostituzione dell’acciaio per la manifattura di parti e componenti delle autovetture (motore e trasmissione, telaio e sospensioni, cerchi, ecc.) con l’obiettivo di una riduzione delle emissioni di CO2 nell’arco di vita utile attraverso la diminuzione del peso funzionale e dei costi di assemblaggio e manutenzione, il miglioramento dell’efficienza del carburante e della durabilità e resistenza.

Figure 1 - source: Statista (2021)
Figure 1 – source: Statista (2021)

L’alluminio è anche considerato uno dei metalli più sostenibili sotto il profilo ambientale perché può essere riciclato pressoché all’infinito. Si calcola che il 75% di tutto l’alluminio prodotto finora a livello globale sia ancora in uso proprio grazie all’efficacia delle attività di recupero e di riutilizzo. La produzione secondaria di alluminio, attraverso il recupero degli scarti di lavorazione e dei rottami derivanti dai manufatti contenenti alluminio giunti a fine ciclo di vita, consente un risparmio di energia del 95% rispetto alla produzione di alluminio primario e rappresenta un tassello importante nel più ampio percorso di decarbonizzazione che l’industria dell’alluminio ha avviato da anni e che ha portato a una consistente riduzione dell’intensità carbonica in tutte le fasi di lavorazione del metallo. Sulla base dei dati di European Aluminium, l’intensità carbonica della produzione di alluminio primario in Europa è infatti diminuita del 21% rispetto al 2010 ed è pari a 7 kg di CO2 equivalente per chilogrammo di alluminio. Permangono tuttavia forti differenze fra le diverse aree, tenuto conto che il valore europeo risulta largamente inferiore a quello medio globale (18 kgCO2eq/kg) e alla media delle produzioni di alluminio in Cina (20 kgCO2eq/kg), mentre le migliori performance ambientali si collocano al di sotto di 4 kgCO2eq/kg. Allo stesso modo, l’intensità carbonica della produzione europea di laminati e di estrusi di alluminio si è ridotta rispettivamente del 25% e dell’11% rispetto ai valori del 2010. Nello stesso periodo, la contrazione dell’intensità carbonica è stata invece pari al 9% nella produzione secondaria di alluminio.

Figure 2 - source: European Aluminium (2021)
Figure 2 – source: European Aluminium (2021)

L’evoluzione del settore dell’alluminio nell’Unione Europea

Nel periodo 2007-2019, nonostante la sostenuta crescita della domanda, la produzione di alluminio primario nell’Unione Europea si è ridotta di circa il 30% (si veda Figura 2). Tagli addizionali alla produzione e ulteriori chiusure di impianti sono peraltro previste nei prossimi mesi. Come conseguenza la produzione interna di alluminio primario copre poco più di un quarto del consumo apparente dell’Unione Europea che rimane dunque fortemente dipendente dalle importazioni estere per circa la metà del proprio fabbisogno. D’altra parte, la produzione secondaria, pur rappresentando dagli inizi degli anni duemila la principale modalità di produzione di alluminio grezzo nell’Unione Europea, non risulta sufficiente a coprire la parte di domanda interna delle lavorazioni a valle non soddisfatta dalla produzione interna di alluminio primario (si veda Figura 3).
D’altra parte, nell’Unione Europea, strutturalmente povera di materie prime, la presenza delle fasi a monte legate all’estrazione della bauxite, alla raffinazione dell’allumina e alla produzione di alluminio primario è stata storicamente molto ridotta. L’industria europea dell’alluminio si è infatti progressivamente specializzata nelle attività di produzione dei semilavorati di alluminio, come laminati, estrusi, getti di fonderia e forgiati, caratterizzate in prevalenza dalla presenza di piccole e medie imprese, che rappresentano oggi circa il 70% del fatturato annuo e intorno al 90% dell’occupazione totale nell’industria dell’alluminio dell’Unione Europea. Il quadro di sintesi appena descritto si è verificato in presenza di un sistema di tariffe all’importazione dell’alluminio grezzo (differenziate per tipologia di metallo, legato e non legato e per formati) che nell’intento della Commissione Europea avrebbe dovuto sostenere la produzione interna di alluminio primario. Un crescente numero di studi da parte di centri di ricerca, istituzioni universitarie e stakeholder in ambito europeo, fra i quali Ecorys, CEPS, Università LUISS e FAIReconomics [1], ha evidenziato nel corso degli ultimi dieci anni la sostanziale inefficacia di tale strumento nel fornire un’adeguata protezione agli smelter europei e come i dazi imposti alle importazioni di alluminio grezzo abbiano finito per gravare di un costo addizionale le imprese collocate a valle della filiera nella produzione dei semilavorati di alluminio che, come in precedenza accennato, costituisce il cuore dell’industria dell’alluminio dell’Unione Europea. L’ammontare cumulato dell’extra-costo sostenuto dalle imprese del downstream dell’Unione Europea è stato stimato dal GRIF dell’Università LUISS in circa 18 miliardi di euro nel periodo 2000-2017, al netto del cosiddetto traffico di perfezionamento che consente alle imprese di non pagare il dazio nel caso in cui l’alluminio sia temporaneamente importato per subire una o più lavorazioni ed essere successivamente riesportato. La presenza del dazio dell’alluminio grezzo ha dunque imposto alla filiera della produzione dei semilavorati di alluminio e ai consumatori finali un sovrapprezzo di 60-80 euro/tonnellata di alluminio utilizzato che si è tradotto in un extra-costo di approvvigionamento pari in media a 1 miliardo di euro l’anno, equivalente a circa il 4% del fatturato stimato per l’intero segmento del downstream nell’Unione Europea. I costi aggiuntivi si sono tradotti in ricavi addizionali non solo per i produttori di alluminio grezzo dell’Unione Europea (rispettivamente per una quota del 32% e del 26% del totale delle entrate per i produttori di alluminio secondario e per i produttori di alluminio primario), ma anche per gli smelter localizzati in Paesi, quali ad esempio Norvegia e Islanda, dai quali è possibile importare l’alluminio grezzo in esenzione dal dazio in ragione di accordi commerciali preferenziali (per il 25% degli extra-ricavi totali). Sulla stessa linea si colloca un recente studio sull’industria tedesca dell’alluminio condotto da FAIReconomics che stima i costi addizionali sostenuti dai trasformatori di alluminio in circa 85 euro/tonnellata per un totale cumulato valutabile tra 2,9 e 5,3 miliardi di euro nel periodo 2000-2017. Come già segnalato da precedenti ricerche (si vedano Ecorys e GRIF-LUISS), lo studio conferma inoltre come nel mercato unico siano applicate le medesime condizioni di prezzo indipendentemente dalla provenienza dell’alluminio grezzo e tale circostanza contribuisce in parte a spiegare come solo un terzo delle imprese tedesche intervistate fosse effettivamente a conoscenza dell’applicazione di una tariffa di importazione sugli approvvigionamenti esteri di alluminio grezzo e del conseguente aggravio di costo che ne deriva per i trasformatori dell’alluminio. L’aggravio nei costi di approvvigionamento della materia prima determinato dalla presenza del dazio ha in ogni caso imposto al settore del downstream dell’alluminio un processo di aggiustamento strutturale che ha in parte alterato la fisiologica struttura del mercato. Il downstream dell’alluminio è un segmento fortemente eterogeneo, che include diverse attività che impiegano processi produttivi differenti e si caratterizzano per dimensioni diverse. Tali attività sono inoltre presenti nei singoli territori in misura differente in funzione di fattori storici, di domanda di mercato e di scelte tecnologiche alimentando un tessuto manifatturiero e un sistema di competenze profondamente radicato nelle comunità locali. Le imprese che operano nel downstream dell’alluminio si caratterizzano inoltre per strutture di costo diverse che possono dipendere tanto dai differenti rapporti di forza con i fornitori quanto da differenze nelle condizioni ambientali legate ad esempio ai costi del lavoro, dell’energia, ecc. L’imposizione di una tariffa all’importazione uniforme a livello di Unione Europea ha determinato l’uscita dal mercato delle imprese caratterizzate da costi più elevati e/o da un limitato potere di mercato nei propri segmenti di domanda, in particolare in quei mercati maggiormente esposti alla crescente competizione a livello internazionale. Nel periodo 2000-2017, nonostante la domanda globale di semi-lavorati di alluminio sia quasi quadruplicata (da 22,5 a 77,6 milioni di tonnellate), la produzione di laminati e getti di alluminio nell’Unione Europea è cresciuta a un ritmo significativamente più lento della produzione globale, mentre la produzione dell’UE di estrusi di alluminio rimaneva nel 2019 inferiore ai livelli del 2007, sebbene la produzione globale sia triplicata a partire dall’inizio del nuovo millennio (si veda Figura 4). Caratterizzate da costi di approvvigionamento della materia prima relativamente più elevati rispetto ai propri competitor, le imprese attive nel downstream dell’alluminio sono oggi posizionate in produzioni tecnologicamente avanzate in grado di assicurare margini sufficienti alla sopravvivenza o comunque caratterizzate da elevati livelli di efficienza nelle fasi di lavorazione non legate all’approvvigionamento dell’alluminio grezzo. La presenza di una tariffa all’importazione sull’alluminio grezzo, sebbene abbia consentito il consolidamento della produzione secondaria che ha potuto beneficiare dei prezzi artificiosamente più elevati dell’alluminio grezzo, ha tuttavia reso relativamente più competitivi altri materiali in molti usi finali, ostacolando e ritardando la diffusione dei prodotti in alluminio sul mercato e, tra i prodotti in alluminio favorendo quelli a maggiore impronta carbonica. In altri termini, il prezzo artificiosamente più alto dei semilavorati di alluminio prodotti nell’Unione Europea ha spinto molte industrie finali a scegliere materiali alternativi oppure semilavorati di alluminio realizzati da fornitori esteri a basso prezzo, con prestazioni ambientali inferiori o comunque difficilmente verificabili. In sintesi, la filiera dell’alluminio dell’Unione Europea è cresciuta nel corso dell’ultimo ventennio trainata da una domanda crescente principalmente legata ai tradizionali driver rappresentati dalle specifiche caratteristiche di tale materiale all’interno di un quadro regolatorio e di una politica commerciale che avevano tuttavia come principale obiettivo non la promozione di un maggiore utilizzo di tale metallo quanto piuttosto la protezione della produzione primaria. Se l’obiettivo è oggi quello di una maggiore sostenibilità ambientale in linea con i target di riduzione delle emissioni climalteranti, è necessario prendere atto che l’impostazione sinora seguita determina un’inesorabile contrazione del tessuto produttivo diffuso del downstream e ha l’effetto di spiazzare la capacità produttiva interna in tutti quei mercati di semilavorati e beni finali di alluminio a basso valore aggiunto che maggiormente soffrono della concorrenza internazionale da parte di imprese che non rispondono ai migliori standard ambientali.

Figure 3 - source: European Aluminium (2021)
Figure 3 – source: European Aluminium (2021)

Quali politiche per l’industria dell’alluminio?

L’analisi di ciò che è stato diviene ora fondamentale per definire quali politiche industriali siano necessarie per promuovere la crescita e il rafforzamento dell’industria dell’alluminio come strumento per accrescere la sostenibilità ambientale del sistema economico europeo. Direzione verso cui si muove il Green Deal europeo che si propone per l’appunto di trasformare l’Unione Europea in un’economia moderna, competitiva ed efficiente sotto il profilo dell’utilizzo delle risorse. Sotto questo profilo, è prima di tutto necessario ampliare lo spazio di mercato per i beni caratterizzati da maggiore sostenibilità ambientale e liberare risorse che possano essere indirizzate verso l’ulteriore miglioramento delle performance ambientali dei processi produttivi e dei prodotti intermedi e finali. La politica commerciale ha in questa prospettiva un ruolo di assoluto rilievo come mostra l’avvio a livello comunitario di un processo di revisione determinato, oltre che dalle mutate condizioni del commercio internazionale e dai cambiamenti di strategie di alcuni Paesi, anche dalla necessità di integrare negli scambi commerciali logiche funzionali al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e di lotta ai cambiamenti climatici [2]. Con riferimento all’industria dell’alluminio, questo significa in primo luogo sostenere la produzione e la diffusione dei prodotti in alluminio con bassa impronta carbonica modificandone la convenienza relativa anche in termini di prezzo e creando le condizioni per investimenti nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni sempre più rispettose dell’ambiente. Come evidenziato nel precedente paragrafo, il mantenimento delle tariffe alle importazioni di alluminio grezzo costituisce senza dubbio un ostacolo a tale processo contribuendo a generare esiti opposti a quelli auspicati in termini ambientali. Al contrario, la loro totale abolizione consentirebbe alle industrie del downstream di recuperare un margine di competitività che sarebbe funzionale ad ampliare lo spazio di mercato dell’alluminio negli utilizzi finali, oltre che a sostenere la crescente competizione a livello internazionale, oggi indubbiamente frenata dalla mancanza di un effettivo level playing field fra produttori concorrenti. In effetti, la concorrenza a livello globale nei settori del downstream è attesa crescere nei prossimi anni anche in ragione del rilevante eccesso di capacità produttiva di alluminio primario che caratterizza alcune aree del pianeta, in particolare la Cina, e che rappresenta, come evidenziato in un recente studio dell’OECD e prima ancora dal Dipartimento del Commercio statunitense [3], il risultato di politiche deliberatamente volte a sostenere la nascita e la crescita sul territorio delle attività a valle di trasformazione dell’alluminio con l’obiettivo di generare reddito e occupazione attraverso la soddisfazione della domanda interna e in prospettiva le esportazioni dei prodotti a più alto valore aggiunto.

Figure 4: 2000-2017 data from CRU source refer to EU28. The 2018-2019 data refer to the whole of Europe. 2018-2019 data are not available for aluminium castings. Source: CRU (2018); European Aluminium (2021)
Figure 4: 2000-2017 data from CRU source refer to EU28. The 2018-2019 data refer to the whole of Europe. 2018-2019 data are not available for aluminium castings. Source: CRU (2018); European Aluminium (2021)

Le preoccupazioni legate agli eventuali impatti negativi dell’abolizione del dazio sulla produzione primaria e secondaria dell’alluminio dovrebbero trovare risposta in misure specifiche che tengano conto delle caratteristiche strutturali delle diverse attività e della loro rilevanza rispetto agli obiettivi di sostenibilità ambientale e di efficientamento energetico. Nella produzione primaria, uno spazio residuo di sopravvivenza garantito attraverso un sostegno diretto e trasparente andrebbe collocato nell’ambito di una più ampia politica industriale e commerciale europea sulle materie prime e sarebbe giustificato riconoscendone esplicitamente il valore strategico, riconducibile primariamente all’opportunità di sviluppare tecnologie il meno impattanti possibile dal punto di vista ambientale e di non essere totalmente dipendenti dalle importazioni. Tale strategia deve promuovere la sostenibilità ambientale dell’alluminio privilegiando, nel ridisegno delle politiche commerciali, la produzione primaria a bassa intensità carbonica in modo da favorire l’adozione e la diffusione dei migliori standard tecnologici e contrastare la competizione da parte di Paesi che da tali standard si allontanano. Nella produzione secondaria, è invece necessario adottare politiche di natura specifica che siano dirette a migliorare le tecnologie di produzione, trasformazione, lavorazione, selezione e recupero dei rottami, in prospettiva anche attraverso una progettazione coerente dei prodotti finali in partnership con le imprese dei principali settori utilizzatori (automotive, costruzioni, packaging, ecc.) definendo incentivi adeguati al riciclo e al riutilizzo a livello locale. La scelta di sostenere la produzione domestica di metallo primario e di rafforzare la produzione secondaria nell’ottica di rendere concreta la circolarità della filiera nell’Unione Europea richiede dunque strumenti differenti dalle barriere tariffarie, la cui applicazione si è dimostrata inefficace e il cui mantenimento rischia di ostacolare una maggiore diffusione dei prodotti in alluminio funzionale al conseguimento degli obiettivi europei di riduzione delle emissioni climalteranti, di supporto alle piccole e medie imprese e di contrasto al declino manifatturiero di molti territori. La crisi economica imposta dall’emergenza sanitaria può rappresentare in tal senso, anche per il settore dell’alluminio, un’occasione per avviare un percorso di riforma dell’industria europea e di rilancio delle opportunità di reddito e occupazione di molti territori.