I dazi di Trump sull’alluminio grezzo, un flop clamoroso per l’economia statunitense

Nulla di nuovo sotto il sole, da anni denunciamo gli stessi fatti per l’Unione Europea

A cura di Mario Conserva

Nel marzo 2018, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump impose dazi generali del 10% sulle importazioni di alluminio (e del 25% sull’acciaio) a sostegno dei produttori nazionali e per stimolare la crescita dell’economia statunitense. La logica alla base dei dazi era che questo provvedimento avrebbe dovuto proteggere i produttori statunitensi di alluminio primario dalla concorrenza internazionale, tenendo conto che il ricorso al mercato esterno era un fatto indispensabile a causa delle crescenti carenze della produzione interna. In effetti, il calo in USA della produzione di alluminio primario, ad esempio nel periodo 2003-2017, era stato molto forte, passando da 1,5 milioni di tonnellate nel 2003 a 741 mila tonnellate nel 2017. Di conseguenza, nel 2017 gli Stati Uniti sono stati il maggior importatore mondiale di alluminio (e di acciaio), acquistarono all’estero 7 milioni di tonnellate di alluminio, primario e semilavorato (e 34,6 milioni di tonnellate di acciaio). Le tariffe daziarie erano state viste dall’Amministrazione come lo strumento più opportuno per restituire consistenza alla produzione degli Stati Uniti e migliorarne la solidità economica con l’aumento di investimenti e profitti e con la creazione di nuovi posti di lavoro. Si prevedeva che un simile impatto positivo sarebbe stato diffuso in tutta l’economia, ma in realtà l’effetto complessivo è stato esattamente l’opposto. Alla fine del 2018 il deficit è aumentato al livello più alto dal 2008 con 621 miliardi di dollari USA ed una crescita di 119 miliardi di dollari, o del 24%, in due anni. Trade Partnership Worldwide stimava che “… il dazio del 10% sull’alluminio grezzo, imposto ai sensi della Sezione 232, ha inciso su 9,8 miliardi di dollari USA di importazioni statunitensi e ha prodotto un onere di costi aggiuntivi per l’economia statunitense per un totale di 983,9 milioni di dollari l’anno”. Anne O. Krueger, professore di ricerca senior presso la John Hopkins University (ex capo economista della Banca Mondiale ed ex primo vice direttore generale del Fondo Monetario Internazionale), ha sottolineato “… si stima che le tariffe sui metalli siano costate agli americani 900.000 dollari l’anno per ogni posto di lavoro salvato”. Secondo la logica dell’amministrazione trumpiana, mentre le industrie nazionali dell’alluminio primario (e dell’acciaio) avrebbero tratto vantaggio dai dazi, tutti i trasformatori a valle e gli utenti finali non avrebbero subito grandi perdite; ma la logica economica è diversa, tutti i settori di impiego finale, come l’edilizia, l’automotive, l’aerospaziale, la produzione di alimenti e bevande, sono stati influenzati negativamente dalle tariffe daziarie che determinavano l’aumento dei costi iniziali della materia prima, a loro volta trasferiti al cliente, quindi aumentando i prezzi al consumo. In sintesi possiamo dire che i dazi USA sull’alluminio grezzo non hanno aumentato la produzione interna di alluminio primario negli Stati Uniti, non hanno creato posti di lavoro, non hanno aumentato il PIL degli Stati Uniti, mentre hanno causato danni a tutte le industrie trasformatrici e ai consumatori a valle. Gli esperti hanno stimato che i dazi sull’import di metallo grezzo hanno aggiunto almeno 30-40 dollari al costo di ogni auto, gli oneri aggiuntivi della sola azienda Ford sono stati calcolati tra 100 e 130 milioni di dollari. I produttori di birra hanno riportato perdite significative a causa dell’aumento dei prezzi delle lattine di alluminio, stimate in circa 350 milioni di dollari all’anno. Ampie varietà di aziende di diversi settori (edilizia, trasporti, costruttori di imbarcazioni, produttori di elettrodomestici da cucina e mobili e persino l’industria spaziale) hanno lamentato difficoltà finanziarie legate alle tariffe di importazione della materia prima alluminio. Basandosi sulle testimonianze riportate da diverse società, alcune ricerche indipendenti hanno stimato che la perdita derivata dall’introduzione delle tariffe per l’economia statunitense sia stata da 0,5 a 1,0 miliardi di dollari l’anno, con un effetto negativo di pesante riduzione delle prospettive di crescita delle sottostanti industrie a valle e dell’intera economia statunitense. Superfluo aggiungere che ciò è una conseguenza del tutto normale, perché i dazi all’importazione comportano per definizione costi aggiuntivi per i consumatori finali e rappresentano nel complesso una perdita economica per il Paese che ne fa uso. Inoltre, come abbiamo sostenuto per anni, il dazio all’importazione sulle materie prime non poteva ovviamente risolvere la vera questione di base della produzione di alluminio primario, che è il costo dell’energia, in Europa così come negli Stati Uniti; solo i pasticcioni più sprovveduti hanno sostenuto per anni che con il dazio sul grezzo l’UE avrebbe salvato gli smelter europei. E infatti, anche con i dazi all’importazione, i produttori statunitensi di alluminio primario hanno riportato perdite finanziarie, un esempio eloquente è quello di Century Aluminum, (un primarista con tre smelter, tra i promotori delle azioni di lobbying contro le importazioni di primario canadese), che ha annunciato per il secondo e il terzo trimestre 2020 perdite di oltre 80 milioni di dollari. La conclusione è quella di sempre: i dazi all’importazione creano dei costi aggiuntivi per i consumatori finali e si concretizzano nella perdita economica complessiva per il Paese. Nel caso specifico riferito a quanto fatto dall’amministrazione Trump, il dazio all’import di grezzo non ha aumentato la produzione interna di alluminio primario degli Stati Uniti, ma ha gravato sulla bilancia commerciale e causato danni a tutte le industrie trasformatrici e consumatrici a valle. Seppure con valutazioni e metodologie di analisi diverse, siamo vicini in termini quantitativi al valore dei danni creati dal dazio sul metallo grezzo in Europa riportati dai noti studi dell’Università Luiss di Roma e stimati in quasi un miliardo di euro all’anno per gli ultimi 20 anni. Non bastano queste clamorose e circostanziate evidenze per far capire anche ai più pervicaci negazionisti e per convincere i decisori che il dazio EU sull’alluminio primario è un gigantesco errore da rimuovere a vantaggio del manifatturiero europeo?