Alluminio, manovre di assestamento in corso: grandi prospettive e problemi da risolvere

Per il mercato globale dell’alluminio, oggi il problema è quello legato all’energia, che incombe su tutto il sistema e fa capire che sono definitivamente tramontati i tempi dell’energia facile e semplice. Una questione che tocca di certo tutti gli aspetti del nostro vivere quotidiano. Pensando alla catena di valore del metallo leggero, questa è interessata in particolare a due importanti fattori. Il primo è rappresentata dal ruolo e dai comportamenti della Cina, diventata nel giro di pochi anni leader nella produzione e nell’utilizzo di alluminio: ha prodotto nel 2020 poco più di 37 milioni di tonnellate di primario sui 67 milioni a livello mondiale, ne utilizza moltissimo ed è stata tra i primi paesi a ripartire dopo la pandemia Covid-19, quando il resto del mondo stava ancora attrezzandosi per la ripresa. E nel ripartire, la Cina sta impegnandosi in un cambiamento che interessa i suoi smelter più vecchi, più inefficienti e più inquinanti, progettando di trasformarli in impianti competitivi ed ecosostenibili, in linea peraltro con l’impostazione green dell’industria sostenuta dalla Commissione Europea. Lo stesso presidente cinese  Xi Jinping dichiarava recentemente che la Cina non costruirà più centrali elettriche alimentate a carbone, e che l’obiettivo finale è raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. In sostanza, i conseguenti tagli di energia arrivano mentre la Cina porta avanti i suoi obiettivi per lottare contro il cambiamento climatico. 

Con l’economia globale in recupero dopo la pandemia, il mercato cinese in forte ripresa ha spinto i consumi di materie prime e metalli; anche i prezzi dell’alluminio sono quindi soggetti oggi a forti tensioni, perché diminuisce la disponibilità fisica di metallo. Le scelte di tagliare le produzioni di primario cinese vengono stimate a poco meno di 3 milioni di tonnellate/anno e con questo dato la Cina diventa di fatto un importatore netto di alluminio grezzo e alcuni analisti stimano un deficit mondiale di primario quest’anno intorno ad un milione di tonnellate. Tutto ciò ha determinato il forte rialzo delle quotazioni in borsa, sino ai massimi storici dal 1980. Inoltre,  le scorte mondiali di metallo, fisico e finanziario, si sono spostate da Europa e Stati Uniti verso l’Asia, da dove la successiva spedizione in Cina è più conveniente, e tutto questo ha alterato profondamente i flussi di approvvigionamento. Si aggiungono poi le problematiche collegate agli aspetti logistici che hanno reso più difficili gli approvvigionamenti: la domanda dei trasporti navali è aumentata, sono venuti a mancano i container e le conseguenze sono state  rallentamenti, tempi di fornitura più lunghi, costi triplicati. Solo poche settimane fa ad esempio i premi delle billette di alluminio stabilivano in Germania ed in Italia nuovi massimi da record, tanto per dare un’idea oltre 1500 dollari/tonnellata .  

E trattandosi della Cina, si parla di grandi numeri: ci vorrà probabilmente un bel po’ di tempo affinché questa situazione di deficit si sistemi, e tutto questo comporta in primo luogo tensioni sul fronte del sistema mondiale del metallo grezzo. Non c’è dubbio che i Paesi tradizionalmente deficitari di metallo primario come l’Unione Europea, già oggi gravata pesantemente dal collasso produttivo di metallo elettrolitico negli ultimi decenni, si troverà di fronte difficoltà di approvvigionamento che si faranno ancora più aspre nei prossimi anni, nonostante gli augurabili sviluppi nelle virtuose produzioni di secondario, che nella migliore delle ipotesi potranno solo in piccola parte mitigare la fame di metallo grezzo. Tanto più che, come ripetiamo da decenni, l’UE impone sul grezzo un incomprensibile dazio all’import, un ostacolo che costituisce un naturale disincentivo al flusso di alluminio primario da parte dei produttori mondiali verso l’Europa. Un problema complesso, che tra la colpevole disattenzione dei decisori da troppo tempo frena lo sviluppo dell’intero downstream dell’alluminio in Europa.