Grande fuga degli smelter dall’UE, l’inutile danno del dazio all’import di grezzo, schiaffi al metallo verde

A cura di Mario Conserva

Dopo anni di continua chiusura di smelter in UE, produciamo poco più di 1 milione di t di primario, ci manca quasi l’85 % del fabbisogno e dobbiamo importarlo. Perché gravarlo di una tariffa che è un extracosto per gli utilizzatori e per il mercato? Anche il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), complesso sistema burocratico nato da una causa giustissima, appare un freno, certezza di aumentare i costi e colpire la competitività del manufatturiero UE. L’insieme delle due misure potrebbe portare ad un aumento di circa 7 miliardi di euro dei costi a carico delle imprese europee della filiera a valle e degli utilizzatori finali.

A questo poi dobbiamo aggiungere le continue spinte per introdurre sanzioni a chi produce ed esporta in UE primario verde a bassissima impronta di carbonio; iniziativa suicida, se adottata avrebbe il grande risultato di lasciare questa ottima materia prima nelle mani dei nostri competitori sul mercato globale, a tutto nostro svantaggio come autentici campioni in autolesionismo. È infatti noto a tutti gli attori ed esperti del settore ed alle autorità dell’UE che qualsiasi restrizione di questo tipo scatenerebbe, come nel 2018, turbolenze sui mercati, sentimenti di insicurezza, volatilità e aumenti dei prezzi che eroderebbero la competitività delle aziende europee dell’alluminio. Tutto questo nel momento peggiore, poiché le PMI di trasformazione, lavorazioni, finiture, applicazioni finali, debbono affrontare la crisi energetica, lottare contro l’inflazione, investire nella digitalizzazione, nell’innovazione e nella decarbonizzazione e scontrarsi con una concorrenza internazionale agguerrita e spesso sleale. Pertanto, le eventuali restrizioni sulle importazioni di metallo russo, tra i più green in circolazione (si veda l’articolo a pagina 58 di questo numero) non solo contraddirebbero le decisioni dell’UE sulla competitività dei regolamenti di sospensione delle tariffe sull’alluminio del 2007 e 2013, e testi come la Strategia Europa 2020 o il nuovo piano industriale e decisioni o dichiarazioni del Consiglio Competitività dell’UE, ma darebbero anche un duro colpo alle politiche industriali e agli obiettivi del Green Deal. 

Le conseguenze colpirebbero in particolare per le PMI del downstream, poiché l’alluminio svolge e sarebbe destinato a svolgere ancora di più in futuro un ruolo chiave in applicazioni di base di tanti settori, dai trasporti, all’edilizia e costruzioni, agli imballaggi, alle apparecchiature elettriche. Servono scelte coraggiose e lungimiranti in temi come energia, ecosostenibilità, strategie di trading ed equo accesso alla materia prima. Tutto questo per salvaguardare in UE le risorse produttive locali, alimentare lo sviluppo dell’intero segmento alluminio sul territorio e sulla scena internazionale, difendere la competitività delle migliaia di piccole e medie imprese a valle in UE che hanno fatto grande la filiera industriale del metallo leggero.