Alluminio cinese, tra sovracapacità, pratiche produttive e comportamenti commerciali discutibili

Crescono i rischi per il sistema europeo EU del metallo leggero

Non c’è dubbio che parlando del sistema alluminio il problema Cina esiste ed è ingombrante, perché ritorna fuori da tutte le parti: nella produzione di primario, con un metallo ad alta impronta di carbonio realizzato in impianti inquinanti alimentati con energia inquinante, nel trading di semilavorati e di prodotti, come profilati, laminati e ruote in alluminio per veicoli, venduti sottoscosto, ma anche nel mercato del rottame, la preziosa materia prima per il riciclo dell’alluminio di cui la Cina fa incetta in Europa con comportamenti commerciali sempre al limite e oltre.
Questo stato di fatto è già di per sé un grosso interrogativo di forte peso a livello globale (ricordo che la catena di valore dell’alluminio è stimata circa l’1% del PIL globale, vale a dire circa 800 miliardi di dollari), figuriamoci dei rischi per l’EU, che ha la meritevole ambizione di porsi come modello di sostenibilità in tutti i campi, e che nel segmento specifico soffre endemicamente di una grave carenza di metallo primario. Riguardo l’eccesso di capacità, la Cina nel 2019 ha prodotto 36 milioni di tonnellate di alluminio primario, su un totale mondiale di 64 milioni; la domanda è ora in contrazione e se dopo l’emergenza Covid-19 la Cina continuerà a produrre primario allo stesso ritmo, anche se ne potrà assorbire molto meno di prima, invaderà il mercato con valanghe di materia prima ad alta impronta di CO2, proprio nel momento in cui grandi produttori mondiali puntano su produzioni green con energia idroelettrica a bassa impronta di carbonio o comunque ottimizzate al massimo sotto il profilo ambientale. E c’è anche da domandarsi se la Cina terrà viva, come se non fosse successo nulla, anche l’intera produzione di semilavorati di alluminio, che potrà essere assorbita solo in piccola parte nel mercato interno, continuando quindi, con accresciuta pressione, ad inondare il pianeta di semilavorati e prodotti a prezzi sottocosto.
Riguardo alle pratiche produttive, secondo Yves Jégourel, professore all’Università di Bordeaux, e Philippe Chalmin, docente all’Università Paris-Dauphine, che hanno lavorato sotto l’egida di Aluwatch, un gruppo di lavoro dedicato agli sviluppi nel mercato dell’alluminio, in Cina il 90% dell’elettricità utilizzata per la produzione di alluminio primario proviene dal carbone. Inoltre, secondo i piani già approvati, circa il 40% dei nuovi progetti di alluminio introdotti in Cina nel 2020-2023 utilizzerà il carbone come fonte energetica primaria. Nei prossimi tre anni, la capacità totale degli impianti di alluminio a base di carbone aggiunti di recente in Cina raggiungerà 2,7 milioni di tonnellate, aumentando quindi notevolmente l’impronta di carbonio già molto elevata del settore. Va ricordato a corollario di questo dato che su 10 milioni di tonnellate di prodotti in alluminio esportati dalla Cina, almeno 9 milioni di tonnellate sono ad alta intensità di impronta di carbonio. Riguardo infine alla disinvoltura commerciale, i recenti provvedimenti di misure antidumping contro l’import di estrusi cinesi in EU proposto dalla Commissione Europea sono la conferma che la Cina ha portato avanti per anni e con determinazione una politica di sovracapacità produttiva nell’obiettivo di una vera e propria guerra economica, per indebolire a proprio vantaggio, per quanto ci riguarda, il manifatturiero europeo. Tanto per dare un’idea della dimensione del problema, ricordiamo che nel corso degli ultimi 18-20 anni l’import in EU di semiprodotti di alluminio, come dimostrato dalle registrazioni e dai monitoraggi eseguiti, è cresciuto da 20 a 50 volte, in massima parte dalla Cina, largamente in condizioni di dumping. Tutte queste considerazioni sono solo una veloce analisi di alcune situazioni di rischio che sarà bene tener presenti per assicurarci forniture affidabili, sicure e sostenibili di materie prime e prodotti strategici come quelli della filiera alluminio, pochi dati di fatto ed un invito tenere gli occhi ben aperti per evitare che il nostro manifatturiero venga inondato da materiali e prodotti esportati in dubbia trasparenza, una pericolosa mina vagante per la nostra industria.