Parlando dell’aratro del terzo millennio: il robot

Nei giorni 24, 25 e 26 marzo si sono svolti i Robotic Days, organizzati dalla nostra rivista Deformazione in collaborazione con SIAD, main sponsor dell’evento, e il patrocinio di SIRI, Associazione Italiana di Robotica e Automazione. Tre giornate per parlare di robotica a tutto tondo, dai robot industriali, a quelli di servizio fino ai cobot e ai robot mobili. Ha aperto i lavori Domenico Appendino, Presidente SIRI, che ci ha illustrato la situazione attuale della robotica industriale, come si sta evolvendo anche alla luce del periodo che stiamo vivendo, e di un concetto che sta diventando sempre più importante, la roboetica.

Partirei provando a dare i numeri; SIRI, in Italia, è emanazione diretta dell’IFR, chi meglio di lei, quindi, è deputato a parlarci della situazione mondiale della robotica che, nonostante tutto, ha fatto registrare dati migliori rispetto alle temute aspettative e ad altri ambiti affini, come la macchina utensile per esempio? Può darci un quadro della situazione mondiale e parlarci, in particolare, della realtà italiana?

SIRI è un’associazione di robotica fra le più vecchie al mondo, nata nel 1975; l’IFR, invece, è nata ben 12 anni dopo SIRI. Le due associazioni hanno un forte rapporto tra di loro, SIRI fornisce annualmente a IFR i dati del censimento della robotica industriale italiana e ha accesso ai dati sul censimento della robotica del mondo, cioè il rapporto World Robotics per la robotica industriale. Ma facciamo un passo indietro, cos’è un robot industriale? Con questa definizione si intende un manipolatore con tre o più gradi di libertà, governato automaticamente, riprogrammabile, multiscopo che può essere fisso sul posto o mobile per utilizzo in applicazione di automazione industriali. Ciò potrebbe includere molti automatismi, che però devono avere una certa flessibilità sia in termini di movimento, sia di programmazione, per poter rientrare nella categoria dei robot. Si stima che oggi, nel 2020, in tutto il mondo, ci siano circa 3 milioni di robot operativi; nel 2019, invece, il numero era 2 milioni e 722 mila. Siamo di fronte, quindi, a un settore in continua crescita, con aumento medio del 13%. Se guardiamo le aree geografiche in cui i robot lavorano, vediamo che il 62% si trova in Asia, il 21% in Europa e il 14% in America. La crescita in Asia è leggermente maggiore rispetto al resto del mondo, ma non ci deve sorprendere poiché si tratta di un mercato in cui è presente il Giappone, grande gigante della robotica soprattutto nel passato, che è stato affiancato negli ultimi anni da Corea del Sud e Cina. Focalizzandoci sui singoli paesi, vediamo che è la Cina e detenere il primo posto per quanto riguarda robot installati in fabbrica, seguita da Giappone, Corea del Sud, USA, Germania e Italia; più del 70% dei robot nel mondo è in questi paesi.
L’applicazione in cui sono maggiormente impiegati è la manipolazione, quindi robot che caricano e scaricano componenti tendenzialmente pesanti; al secondo posto troviamo la saldatura, poi l’assemblaggio, clean room, dosatura, eccetera. Se invece guardiamo i settori industriali, l’automotive è il comparto che rimane al primo posto per utilizzo di robot, a cui segue, con numeri molto vicini, quello dell’industria elettrica ed elettronica; l’industria del metallo ha numeri dimezzati rispetto all’automobilistico, e ancor minori sono quelli di settori quali plastiche, alimentare ed altri. Guardando un altro parametro, cioè quello del livello di robotizzazione di ogni paese, notiamo che l’Italia è all’undicesimo posto nel mondo con i suoi 212 robot ogni 10.000 operatori; si tratta di un dato decisamente superiore alle media dell’Europa e delle Americhe.

Domenico Appendino, Presidente SIRI
Domenico Appendino, Presidente SIRI

Bisogna sottolineare che nel 2019 il numero dei robot venduti ha subito una grossa battuta d’arresto, con una discesa del 12% dopo aver visto una crescita media del 20% nel decennio precedente. Ma non è un dato preoccupante, perché arriva dopo due anni particolari: infatti, il 2017 è stato l’anno di crescita maggiore con il suo +30%, mentre il 2018 ha battuto il record assoluto di robot venduti. La discesa del 2019 è stata motivata da una situazione mondiale diversa, dove la tensione tra America e Cina ha creato dei problemi, insieme all’incertezza nell’automotive, cioè il settore in cui c’è il maggior numero di robot impiegati e quindi si sono raggiunti numeri ben inferiori all’anno precedente. Inoltre i robot sono beni d’investimento il cui andamento nel mercato è notoriamente la derivata di quello del consumo. Se guardiamo la distribuzione geografica delle vendite, vediamo che l’Asia è ancora una volta la più forte rispetto agli altri continenti, con 2/3 dei robot complessivamente venduti. Entrando più nello specifico, quindi guardando i numeri delle singole nazioni, notiamo che la Cina, primo paese per vendite, vale tre volte il Giappone; questo significa che oggi ogni 3 robot venduti nel mondo, più di uno lo è in Cina. Se guardiamo alla situazione italiana, la popolazione dei robot ha visto una crescita di circa il 10%, stabilizzandosi da anni al sesto posto nel mondo e al secondo in Europa. Riguardo alle applicazioni di utilizzo dei robot in Italia, abbiamo meno applicazioni nella saldatura rispetto alla media mondiale e non abbiamo l’automotive come primo settore, che invece si posiziona al secondo posto, ma abbiamo l’industria dei metalli come primo settore di utilizzo dei robot, probabilmente per la tradizione metalmeccanica dell’industria italiana; a queste seguono plastica e alimentare, mentre i componenti elettrici ed elettronici sono più indietro. L’Italia è stata brava a trasformarsi e a portare suoi settori tipici, come quello alimentare e metalmeccanico, e farli diventare elementi trainanti della robotica. Anche per quanto riguarda il fattore vendite, l’Italia è in controtendenza: nel 2019 ha registrato un 13% in più, probabilmente perché, a differenza di altri paesi, il suo mercato è ormai da anni meno influenzato dall’automotive. Questo significa che il nostro paese nel 2019 ha fatto il 25% meglio della media mondiale, e in particolare il 26% meglio di Asia e Nord America, e il 18% meglio del resto d’Europa. Dai risultati raccolti dal gruppo di lavoro statistiche di SIRI che si riunisce regolarmente due volte all’anno per monitorare il sentiment della robotica industriale nel nostro Paese, avevamo previsto, prima della pandemia, che nel 2020 ci sarebbe stata comunque una riduzione del 20% rispetto al 2019. Dall’ultimo sentiment fatto a febbraio 2021, i dati registrano solo un -12% di robot venduti rispetto al 2019, cosa che trovo molto interessante tenendo conto che, per esempio, la macchina utensile è scesa del 19%.

Sembrerebbe dunque che, nonostante il rallentamento, la robotica stia, in realtà, avendo la giusta consacrazione in questa che è l’era della transizione 4.0. Come è cambiato o come sta mutando il suo ruolo? I robot sono ancora percepiti come nemici del lavoro dell’uomo?

Oggi finalmente si parla anche di lavoro dell’uomo creato dalla presenza del robot e non solo di diminuzione di lavoro dell’uomo. L’automazione, infatti, riduce i costi, di conseguenza si riduce il prezzo dei prodotti ma ne aumenta la domanda, e poi aumenta l’occupazione. Partiamo da due dati: quanti robot sono operativi e la percentuale di disoccupazione. Si nota che più aumenta il numero di robot, più diminuisce la disoccupazione. Questi aspetti ci fanno anche capire come la percezione sia degli imprenditori che dei lavoratori sia cambiata in senso positivo. I robot effettivamente uccidono i posti di lavoro meno qualificati, ripetitivi e pericolosi non graditi dall’uomo, ma ne creano altri più qualificati e meglio retribuiti; questo però può avvenire solo se c’è una formazione opportuna dei lavoratori. Cambia il ruolo dell’uomo, scompaiono certe mansioni alienanti che vengono sostituite dal robot, come è sempre stato nella storia. Possiamo dire che l’aratro del terzo millennio è il robot: si prevede, infatti, che quasi tutti gli strumenti di lavoro saranno gradualmente digitalizzati e/o robotizzati. Il lavoro dell’uomo sarà sempre diverso e continuerà a cambiare perché questo è il suo destino, e fa parte dell’umanità inventare sempre nuovi strumenti utili all’uomo.

Un altro tema di attualità è la robotica collaborativa la cui potenzialità applicativa è fuori discussione. Andando però ad analizzare i dati elaborati dal Gruppo Statistiche di SIRI e dal Centro Studi UCIMU, la maggior parte dei robot è ancora di tipo “tradizionale” e destinata al material handling, alla palletizzazione, all’asservimento di macchine utensili o alla saldatura. A suo giudizio, qual è la reale potenzialità della robotica collaborativa?

Ormai si conoscono molto bene le potenzialità dei cobot. Rappresentano un concetto di robotica che avevamo già 30 anni fa, ma che per motivi di costi del prodotto e di sviluppo della sua tecnologia non era ancora praticabile. Il robot, infatti, entra inizialmente nelle medio/grandi imprese che lo utilizzano in maniera quasi esasperata, cercando di esprimere la sua massima produttività e velocità e per necessità viene chiuso in gabbia. Col passare del tempo, diminuisce il costo, la programmazione viene semplificata, si riprogetta la struttura per rendere il robot più morbido e si riduce la sua velocità perché lavori in modo sicuro vicino all’uomo. Per questo l’introduzione del robot collaborativo, a differenza di quello in gabbia, non stravolge il processo produttivo ma lo mantiene affiancando il robot all’operatore. I cobot, pensati per operare in questo modo, stanno entrando con grande successo nelle PMI che non devono più prevedere investimenti troppo onerosi: ora, senza stravolgere la logistica di produzione e le applicazioni specifiche, è possibile affiancare un robot all’operatore, il quale può insegnargli i movimenti da fare attraverso funzioni di autoapprendimento molto semplici. In tal modo, il ruolo del lavoratore cambia, sia perché si mette in atto una migrazione da operaio a operatore di macchina, sia perché ora può fare in modo meccatronico cose che prima faceva manualmente. Siccome quello della robotica collaborativa è un settore nuovo, sono ad ora disponibili solo dati basati su informazioni di mercato, non derivati da un campione significativo di tutti i costruttori. I dati di cui dispone l’IFR ci dicono che i cobot rappresentano circa il 4,8% del mercato totale della robotica e che sono in forte crescita; in Italia, le stime parlano di 500 unità operative. È un settore ancora di nicchia, destinato però a diventare sempre più interessante e diffuso.

SIRI è un’associazione di tipo culturale e come tale, negli ultimi anni, avete cercato di fare sempre più chiarezza su alcuni degli aspetti in chiaro o scuro della robotica. Penso per esempio al suddetto tema del lavoro e all’intelligenza artificiale che sempre più spesso è collegata all’uso dei robot. In questo senso avete coniato il termine roboetica; cosa può dirci in merito?

In SIRI l’argomento dell’intelligenza artificiale integrata alla robotica rientra in quella che, appunto, chiamiamo roboetica. L’importanza del robot in fabbrica sta crescendo sempre di più, e questo ci mette di fronte a diverse sfide, oltre a idonei investimenti e formazione. Crescendo sempre in performance, siamo arrivati a una nuova frontiera del controllo, perché ormai i robot saranno in un prossimo futuro in grado di imparare da soli. Tutto questo fa sì che ci si ponga molti problemi: il robot per quanto sempre più evoluto deve mantenersi sempre e solo come utensile, ma non dev’essere mai visto come un collega di lavoro. Bisogna ricordarsi che l’uomo è comunque e sempre il centro focale del lavoro, non a caso al Parlamento Europeo è in discussione una normativa che prevede un concetto di intelligenza artificiale antropocentrica ed etica, dove la sorveglianza umana sia sempre mantenuta e già durante la progettazione delle macchine. In questo senso, come associazione culturale, SIRI utilizza sovente il termine roboetica. In Europa, per fortuna, c’è un umanesimo molto forte, infatti si parla di Rinascimento Tecnologico che vede l’uomo come punto centrale di ogni cosa. Purtroppo, però, esistono nazioni molto forti nella robotica, come la Cina, in cui invece non c’è l’individuo al centro ma lo stato. Ma spero che grazie alla costante interazione tra le due realtà, umanità e individualità possano vincere.

In SIRI avete aperto le porte alla cosiddetta robotica di servizio della quale parleremo diffusamente con il professor Quaglia del Politecnico di Torino. Mi interessa però avere anche una sua opinione in merito, visto che sembra ormai che i robot faranno sempre più parte della nostra quotidianità sia a casa che sul posto di lavoro. Mi capita per esempio spesso di veder girare nelle aziende dei robot mobili che, se non erro, rientrano in questa branca della robotica, è corretto?

Un robot di servizio ha una definizione simile a quella industriale, ma rappresenta qualunque sistema che sia utile all’uomo: manipolatore con tre o più gradi di libertà governato automaticamente che opera in maniera autonoma o semi-autonoma per compiere servizi utili al benessere degli esseri umani, escludendo l’ambito manifatturiero. Secondo l’IFR ci sono delle classificazioni precise: uso personale, che comprende l’uso domestico e per divertimento; uso professionale, logistica, ambienti pubblici, pulizia, manutenzione e medicina. In questi settori, soprattutto adesso con la pandemia, abbiamo visto sempre di più applicazioni difficili da classificare. Per esempio, il robot di servizio Asimov nel 2004 aveva diretto un concerto in prima mondiale, poi nel 2015 è stato un robot collaborativo a dirigere in Italia un altro concerto con la presenza di Boccelli; oppure in Cina, durante la fase acuta della pandemia, c’erano dei robot di servizio che portavano medicinali e cibo alle persone. Sono tutte macchine che potrebbero lavorare benissimo anche in ambienti industriali. Per questo ora la classificazione IFR risulta da rivedere, ormai robotica di servizio e industriale si mescolano e diventano sempre più integrate.

Le chiedo, infine, di guardare al futuro e di darci la sua definizione di fabbrica digitale e di parlarci del ruolo che avranno i robot al suo interno? Dove ci sta portando la ricerca?

Per la prima volta quest’anno l’IFR ha deciso di non fare previsioni per i prossimi tre anni, essendoci la pandemia e trovandoci in una situazione difficile. Ma comunque, ci sono tutta una serie di motivi che fanno pensare a una crescita della robotica ancora importante. Secondo alcuni studi non condotti dall’IFR, i robot collaborativi vedranno una crescita del 40%; oltre a ciò, il fortissimo utilizzo di robot di servizio fa pensare che ci sarà un’ulteriore crescita di questo comparto. Inoltre, la pandemia ha visto una forte partecipazione dei robot: un ambiente sicuro dal punto di vista epidemiologico è composto da robot industriali in gabbia e AGV che trasportano oggetti, non da umani affiancati. Secondo diversi studi, si prevede una crescita più moderata nei prossimi anni, che poi aumenterà in quelli successivi. C’è dunque in generale una forte fiducia in una crescita importante della robotica, che potrebbe raggiungere di nuovo molto presto le due cifre una volta superato questo momento difficile. Se guardiamo nello specifico alla robotica di servizio, l’IFR ha stilato una previsione con dei numeri in forte crescita. I robot, infatti, saranno sempre più protagonisti della fabbrica digitale, le piccole-medie aziende saranno sempre più popolate da questi strumenti e in particolare i robot di servizio saranno sempre di più nell’industria. Inoltre, tutti i tool che sono stati sviluppati negli anni hanno fatto sì che i robot siano facili da installare e programmare, quindi permetteranno loro di diventare utensili sempre più flessibili e performanti. Se faremo tutto questo a misura d’uomo, vedremo un processo di crescita sia in termini numerici sia di utilizzo e il futuro della robotica porterà a un bilancio positivo per l’umanità. Dovremo però saldamente mantenere l’uomo al centro dello sviluppo, seguendo quindi solidi principi di etica antropocentrica con le leggi e gli investimenti conseguenti.

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