Un 2025 all’insegna dell’incertezza geopolitica
G.I.S.I. ha fatto il punto su cosa dobbiamo aspettarci da quest’anno caratterizzato da variabili preoccupanti: l’impatto del governo Trump, i rapporti commerciali con la Cina e la debolezza dell’Eurozona. Ma non mancano nuove opportunità per gli investimenti.
di Claudia Dagrada
Lo scorso novembre durante l’assemblea ordinaria dei soci, una cosa è saltata all’occhio: il 2024 è stato un anno intenso per G.I.S.I., a partire dai festeggiamenti per i suoi cinquant’anni fino otto nuove aziende entrate a far parte della “famiglia”. I soci hanno potuto partecipare a fiere con condizioni speciali, e a webinar che hanno toccato svariati temi, dalla misura della portata dei fluidi alla cybersecurity, in un formato di breve durata e alto contenuto tecnologico. Da quest’anno, si pensa di registrare i prossimi webinar per metterli a disposizione anche on demand, e di creare nuovi contenuti tecnici e formativi.È stato portato avanti come di consueto l’Osservatorio economico, strumento strategico per monitorare le dinamiche di mercato e identificare le opportunità di crescita. Sono stati approfonditi i temi caldi del momento, come la transizione energetica, la digitalizzazione, la sostenibilità e la cybersecurity. Si è dato spazio al Gruppo Laboratori che ha organizzato interviste pubblicate su “Controllo e Misura”, e dato vita a iniziative e collaborazioni con associazioni affini. Il tutto partecipando a fiere di settore.
Per il futuro si stanno vagliando alcune proposte, come la creazione di un canale YouTube dedicato a contenuti tecnici e tematici focalizzati su metodi di misura e settori di riferimento (laboratorio, processo e manifatturiero) e tematiche trasversali (sicurezza informatica, gestione delle materie prime, efficientamento energetico). Un’altra proposta è legata allo storytelling, per raccontare il valore del settore attraverso video, interviste e contenuti coinvolgenti.
“L’effetto Trump” sull’economia
Molto spazio durante l’assemblea è stato dedicato alle previsioni relative a quest’anno appena iniziato: tante infatti sono le incertezze fra cui il mercato dovrà destreggiarsi. Se ne è parlato con Giampaolo Vitali, economista CNR-IRCrES e docente di Economia Europea presso l’Università di Torino. La situazione geopolitica ha diverse variabili preoccupanti, prime fra tutte il nuovo governo Trump che va ad aggiungersi alle guerre in Ucraina e Medio Oriente, le tensioni a Taiwan, i rapporti con la Cina e la Governance europea.
Le promesse fatte in campagna elettorale erano principalmente legate all’aumento dei dazi protezionistici. Esistono già, Trump non farebbe altro che aumentarli per rafforzare le produzioni locali a scapito delle importazioni.
Un’altra grande promessa è stata la “deportazione di massa” dei clandestini, con il rischio di ridurre anche il numero degli immigrati, che con il loro lavoro attivano il PIL interno. Questo avrebbe probabilmente un impatto negativo sull’economia. “Last but not least”, Trump minacciava l’abbandono della politica ambientale rispetto all’accordo di Parigi per combattere il cambiamento climatico. Una simile incertezza influisce sulle strategie delle imprese, che non capiscono in che direzione investire.
L’impatto negli USA e nel mondo
Queste promesse da parte di Trump porteranno cambiamenti importanti sia all’interno degli USA, sia all’esterno. In particolare, l’aumento dei dazi protezionistici avrà una serie di conseguenze a cascata. Per quanto riguarda l’economia degli Stati Uniti, porterà una crescita dei prezzi e quindi dell’inflazione. Gli aiuti dati ai produttori locali faranno aumentare la spesa pubblica, il deficit e il debito, e di conseguenza i tassi sui titoli pubblici e gli oneri per il debito. Tutto ciò potrebbe impattare anche la diminuzione dei tassi da parte della BCE. L’effetto sul PIL americano non si può prevedere con precisione, ma si parla del +2/3% come negli ultimi anni.
Vediamo ora l’impatto esterno del nuovo governo Trump. Quali sono i Paesi che hanno il maggior surplus commerciale con gli Stati Uniti? Secondo “The Economist”, in base ai dati BEA, nel 2023 c’è la Cina seguita dall’Europa, con la Germania e l’Italia ai primi due posti. «Non credo le importazioni degli USA dalla Cina si ridurranno nel modo sperato da Trump, perché attraverso “triangolazioni” strategiche è possibile far entrare la merce da Paesi amici» afferma Giampaolo Vitali. «Questo comporta un aggravio dei costi per la Cina, ma potrebbe essere anche un fattore positivo perché esporterà beni di maggior valore aggiunto con un margine di guadagno più alto. Ed è uno sprone per le imprese cinesi a trovare alternative al mercato statunitense, guardando all’Africa, ai Paesi emergenti (un esempio è il nuovo porto in Perù) e all’Europa».
L’impatto sul Vecchio Continente sarà pesante perché le esportazioni subiranno i dazi maggiori, e arriveranno i prodotti cinesi che non trovano sbocco negli Stati Uniti. In una simile cornice, si prevede una riduzione della crescita del PIL a livello europeo. La speranza è che, se da una parte le esportazioni negli USA saranno appesantite dai dazi, dall’altra saranno alleggerite dall’euro più debole. Ci saranno anche imprese che, nonostante i costi elevati, decideranno di costruire impianti produttivi negli Stati Uniti.
Il “soft landing”e i rischi della competizione cinese
In tutto questo ci sono due notizie interessanti, sottolinea Giampaolo Vitali: «La prima, che reputo positiva, è che la crescita più sostenuta negli USA e quella più modesta in Europa si stiano riducendo grazie alla politica monetaria restrittiva attivata per limitare l’inflazione, nata dopo la pandemia e acuita dalla guerra in Ucraina. Per evitare la recessione, è stato impostato un “soft landing”, che si manifesta con tassi in calo e crescita modesta nei Paesi OCSE grazie a un intervento tecnico statale sia negli USA che in Europa».
La seconda notizia, meno positiva, è che la Cina ha problemi interni, con una stagnazione dei consumi dovuta allo scoppio di una bolla immobiliare. Il clima di fiducia nelle famiglie si è abbassato sensibilmente, e si parla di disoccupazione giovanile. Tutto questo ha un effetto pesante sulle esportazioni, perché le imprese hanno una notevole capacità produttiva ma la domanda interna è scarsa. Quindi esporteranno ancora più, diminuendo i prezzi e diventando più competitive. In realtà questo sta già accadendo da mesi, in vista dei dazi di Trump.
Debolezze e nuove opportunità
La Congiuntura Flash di Centro Studi Confindustria rilasciata lo scorso novembre evidenzia un’economia italiana particolarmente debole: a fine anno era sostenuta dai servizi e dal taglio dei tassi, ma l’industria restava in difficoltà. Già a metà anno alcuni settori (acciaio, chimica e macchinari in primis) avevano visto una riduzione della produzione. Questo calo è ora generalizzato, soprattutto per i settori che fanno parte della global supply chain: pesano la debolezza dell’Eurozona e la recessione tedesca. In particolare si vede un calo della produzione in ambito automotive, moda, tessile. Quello dell’automotive è un problema ben noto legato soprattutto alla transizione energetica. I bassi numeri dei settori moda e tessile invece sono legati alla Cina, perché i marchi leader del lusso mondiale non riescono a vendere sul mercato cinese, e quindi riducono le commesse ai fornitori, dove le imprese italiane sono in prima linea.
Lo stesso vale per l’industria di macchine utensili, automazione e robotica, secondo quanto riportato dal Centro Studi Ucimu-Sistemi per produrre lo scorso settembre. La domanda interna (-19,5%) e le importazioni (-34,8%) oggi registrerebbero probabilmente un ulteriore calo, mentre le esportazioni tengono ancora (+4,4%).
Per quanto riguarda le prospettive di medio periodo per i settori G.I.S.I., transizione green, digitalizzazione e PNRR offrono nuove opportunità per gli investimenti privati e pubblici in molti ambiti, come le energie rinnovabili, la mobilità sostenibile, la domotica per edilizia e la telemedicina in sanità. Inoltre, la crescente domanda di energia favorisce anche i tradizionali investimenti nel settore Oil&Gas.