La promessa della fusione magnetica

In un momento in cui il cambiamento climatico dà segnali sempre più preoccupanti, è di vitale importanza trovare fonti alternative. La risposta potrebbe venire dalla fusione a confinamento magnetico, che vanta un processo privo di emissioni di carbonio.

Il destino del carbonio, utilizzato per alimentare gran parte dell’industria, è ormai segnato: è infatti necessario decarbonizzare e trovare nuove fonti alternative per contrastare l’accelerazione del cambiamento climatico. Tra le tecnologie allo studio troviamo la fusione a confinamento magnetico, una fonte di energia caratterizzata da un processo privo di emissioni di carbonio. Il processo di fusione si basa appunto sull’unione di atomi leggeri (come gli isotopi dell’idrogeno) ottenuta attraverso altissime temperature, liberando enormi quantità di energia e rendendola una fonte molto più efficiente di quella fossile. Per esempio, secondo stime dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers, un solo grammo di isotopi di idrogeno, comunemente usati nel processo, può generare la stessa quantità di energia prodotta da 11 t di carbone. Il principio di funzionamento di una centrale a fusione è analogo a quello di una centrale convenzionale: una sorgente di calore riscalda il vapore che va ad azionare delle turbine. Queste ultime attivano gli alternatori che producono energia elettrica.

Riprodurre le condizioni del Sole

Nelle stelle, e quindi anche nel Sole, i nuclei di idrogeno si uniscono, formando elio e rilasciando energia. Al centro delle stelle, le elevatissime forze gravitazionali determinano delle pressioni che contribuiscono a rendere possibile il processo di fusione. La temperatura di quasi 10 milioni di gradi centigradi che si determina, contribuisce a portare gli atomi nello stato di plasma. In esso gli atomi di idrogeno sono a uno stato eccitato tale da non essere più in grado di trattenere i propri elettroni, e in questo modo il nucleo, caricato positivamente, può fluttuare. Normalmente, due nuclei caricati positivamente non si fondono a causa delle forze elettrostatiche di repulsione. Tuttavia nelle stelle, le forze gravitazionali in gioco permettono di accelerare le particelle fino a vincere la reciproca forza di repulsione, permettendo la fusione. La ricerca internazionale sta cercando di riprodurre condizioni paragonabili sulla Terra, dove mancano le immense forze gravitazionali associate all’enorme massa del Sole. Mentre nel Sole le reazioni di fusione si mantengono grazie alle condizioni estreme che si determinano nel suo nucleo, i processi per ottenere la fusione magnetica sulla Terra sono limitati soprattutto dalla difficoltà di ottenere le alte temperature necessarie per raggiungere lo stato di plasma, a confinare tale plasma in uno spazio ristretto, a sostenere il plasma nel tempo e, infine, a raccogliere l’energia generata, trasformandola in elettricità. La fusione a confinamento magnetico (MCF, “Magnetically Confined Fusion”) è uno dei metodi più studiati e sperimentati per cercare di riprodurre questo fenomeno, e per riuscire a sfruttare l’energia da fusione.

La risposta arriva dagli anni ‘50

La soluzione potrebbe essere il tokamak (in russo significa “camera toroidale magnetica”), un dispositivo inventato nel 1950. Si tratta di una macchina per la fusione termonucleare controllata di forma toroidale, simile a una ciambella. Al suo interno c’è il plasma, un gas caldissimo e rarefatto, di ioni ed elettroni, che viene mantenuto distante dalle pareti interne grazie a un campo magnetico. Infatti, in un campo magnetico le particelle dotate di carica elettrica non possono muoversi liberamente ma sono costrette a seguire la direzione del campo stesso. Nel tokamak il campo magnetico si richiude su sé stesso percorrendo la ciambella, senza mai intercettare il contenitore fisico. Risultato della collaborazione tra 35 Paesi, l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), in costruzione a Cadarache nel sud della Francia, è l’istanza del tokamak più grande al mondo per dimensioni. Si prevede che il primo plasma venga acceso nel 2025, e che il progetto ITER sarà in grado di generare una potenza di plasma 10 volte maggiore (500 MW) di quanta ne assorbirà.

Il carburante? Deuterio e trizio

Nei reattori si userà come carburante deuterio e trizio, due isotopi che sono più facili da far fondere rispetto all’idrogeno. Infatti, fondono a energie più basse rispetto ad altri elementi leggeri come l’idrogeno o l’elio. Il deuterio si trova comunemente nell’acqua del mare, dove un grammo di deuterio si presenta disciolto in circa 30 litri d’acqua. Il trizio non esiste in natura, ma si può ricavare, direttamente all’interno del reattore, attraverso il litio, abbondante nelle rocce. Deuterio e trizio vengono immessi nella camera di reazione e portati a temperature di 200 milioni di gradi, oltre dieci volte l’interno del sole, trasformandosi in un composto di particelle cariche separate, nuclei ed elettroni, ovvero in plasma. Per arrivare a questo risultato si impiegano sistemi altamente sofisticati, basati sull’uso di onde elettromagnetiche o di fasci di particelle neutre. Nel reattore la bontà dell’isolamento dipende dal campo magnetico, che permette di isolare il plasma dall’ambiente esterno contenendolo. Se il campo magnetico è abbastanza forte, consente anche di trattenere l’energia, ossia il calore, all’interno del plasma. Per fare ciò servono campi magnetici molto intensi, ma c’è un limite all’intensità che si può applicare. Tecnicamente, si possono produrre campi fino a circa 12 Tesla, circa 200.000 volte il campo magnetico terrestre.

Un processo sicuro, pulito e inesauribile

Nella fusione nucleare, l’assenza di scorie radioattive esclude la possibilità di incidenti che coinvolgano la popolazione, e eventuali criticità future da materiali residui. L’unico materiale radioattivo è all’interno della camera di reazione che non ha contatti con l’esterno. Inoltre, la fusione non produce gas serra, ed è quindi una tecnologia che supporta il contrasto al cambiamento climatico, e il raggiungimento degli obiettivi di riduzione. Si tratta inoltre di una fonte praticamente inesauribile, data l’estrema abbondanza della “materia prima” utilizzata: l’acqua. Il prodotto della reazione di fusione è l’elio, un gas leggero e inerte. 

Un reattore a fusione quindi, rispetto alle centrali convenzionali, non produce CO2 né produce fumi tossici. Per questi motivi è possibile affermare che la fusione costituisce un processo intrinsecamente sicuro, pulito e inesauribile. La ricerca sulla fusione, inoltre, ha portato allo sviluppo di tecnologie innovative applicabili nel campo della salute, dei materiali hi-tech e della difesa del territorio. Alcune delle applicazioni industriali su cui si sta già lavorando sono lo sviluppo di tecniche di radiografia neutronica, per lo studio di materiali strutturali e componenti meccanici utilizzati in motori, turbine e componenti meccanici a uso industriale, la valutazione sperimentale della robustezza all’irraggiamento neutronico dei componenti elettronici utilizzati in satelliti e aerei e così via. A oggi, la ricerca sulla fusione e la partecipazione ai progetti internazionali come ITER ha portato oltre un miliardo di euro di commesse alle imprese italiane coinvolte, più del 60% del valore totale delle commesse europee. E l’obiettivo è di generare nuovi contratti per altre centinaia di milioni di euro nei prossimi anni.

Fonti

– “Tokamak, la promessa della fusione magnetica”, Eni staff
– “La fisica del Tokamak – la centrale a fusione”, Consorzio RFX
– “Prospettive e opportunità delle tecnologie per la fusione”, Enea Magazine