Il futuro è negli ecosistemi digitali

Negli ecosistemi digitali prodotti e servizi si trasformano e si fondono, attingendo l’un l’altro per creare un’esperienza superiore. Invece di affidarsi a supply chain rigide, il mondo si sta spostando verso un modello incentrato sulla domanda

di Valerio Alessandroni

Industry 4.0 e la digitalizzazione sono spesso percepite solo come concetti tecnologici mirati ad aumentare l’efficienza e ridurre i costi. Molte aziende sottovalutano ancora l’enorme impatto sul mercato dei modelli di business innovativi e la loro integrazione in ecosistemi digitali superiori: in futuro, i vincitori della digitalizzazione non saranno i prodotti migliori, ma gli ecosistemi più forti.
Per molti anni, le aziende hanno utilizzato dei modelli di business orientati alla fornitura, progettando i loro prodotti o servizi per il massimo profitto e cercando di rispondere con essi alla domanda dei clienti. Le vendite avvenivano attraverso un ecosistema di partner di canale, tenendo sotto controllo l’intera catena del valore. In quest’ottica, le aziende si sono quindi concentrate sull’ottimizzazione della supply chain.

I limiti dell’ecosistema tradizionale
Un ecosistema di questo tipo sta ormai mostrando tutti i suoi limiti, perché si appoggia molto sulle risorse dell’azienda e rende difficile innovare ed espandere un prodotto o un servizio con nuove funzionalità. In genere, le opzioni di prodotto e servizio non sono molto flessibili e il cliente è alla mercé di una supply chain rigida. Altri problemi che nascono da un ecosistema tradizionale sono il ritardo negli ordini (non sono previsti ordini on demand), possibili equivoci (l’incertezza nelle comunicazioni porta a flussi di lavoro inefficienti), l’inefficacia del programma di produzione, che non riesce a prendere immediatamente in carico eventi imprevisti e la bassa flessibilità, perché l’aggiustamento del programma di produzione richiede costi o sforzi elevati. Infine, questi modelli obsoleti sono limitati nella loro capacità di mantenere le relazioni con i clienti: i produttori di automobili raramente vedono il cliente dopo aver venduto il veicolo, la carta fedeltà del negozio di alimentari aiuta le aziende a creare offerte speciali interessanti per gli acquirenti, ma questa relazione finisce alla cassa.

Nuove piattaforme tecnologiche e servizi online a valore aggiunto
Gli ecosistemi digitali trasformano profondamente il modello tradizionale. Invece di utilizzare, come in passato, un percorso lineare tra fornitore e cliente, le aziende possono utilizzare nuove piattaforme tecnologiche e servizi online a valore aggiunto per creare maggiori opportunità di business. L’ecosistema digitale genera valore anche per l’intera supply chain, fornendo alle aziende più modi per migliorare le loro proposte di servizio. Permette infine di interagire con il cliente indirettamente in molti punti diversi della loro vita quotidiana. Gli ecosistemi digitali possono essere pensati come una rete sulla quale poggiano le diverse tecnologie. Al livello più alto sono composti da aziende, persone, dati, processi e cose che sono collegati dall’uso condiviso delle piattaforme digitali per favorire la collaborazione e fornire risultati utili a tutte le parti coinvolte. L’idea è di creare una raccolta di servizi flessibili che possano spostarsi e adattarsi rapidamente alle esigenze in continua evoluzione di un’azienda.

Scambio di dati e servizi condivisi grazie alle piattaforme digitali
I nuovi ecosistemi sono abilitati dall’intreccio di diverse tecnologie, dal cloud computing alle piattaforme social, IoT e mobili, e di quanto consente la fruizione flessibile delle risorse, la creazione di canali di interazione specializzati e collaborativi, l’accesso alle più diverse piattaforme applicative e di servizio. Per il loro decollo sono anche necessarie nuove professionalità ICT. Quindi, negli ecosistemi digitali si realizzano nuovi prodotti e servizi facendo leva su piattaforme digitali che permettono di scambiare dati e condividere servizi. Secondo gli analisti, entro il 2020 l’85% delle società leader saranno aziende con forti piattaforme digitali o inserite in contesti che le condividono. Gli ecosistemi digitali danno anche alle aziende più valore sotto forma di dati dei clienti. Un negozio di alimentari può ora avere accesso a una grande quantità di informazioni aggiuntive, raccolte da altri e rese disponibili in forma aggregata e anonima. Può inoltre utilizzare questi dati nelle sue analisi per ottenere nuove informazioni sulle decisioni prese dai clienti.

Nuovi servizi sostituiranno intere categorie di prodotti?
Grazie agli ecosistemi digitali invece di affidarsi a supply chain rigide che non soddisfano necessariamente le esigenze del cliente, il mondo si sta spostando verso un modello incentrato sulla domanda. I clienti serviti da questi ecosistemi digitali vogliono i loro prodotti o servizi immediatamente, nelle forme e nelle quantità corrette. Le aziende che non si aggiornano avranno dei grossi problemi. Questo spostamento potrebbe distruggere intere categorie di prodotti, sostituendoli con nuovi servizi. Nei prossimi anni, la mobilità come servizio inizierà a sostituire le vendite dei veicoli perché consentirà ai clienti di prenotare l’automobile di cui hanno bisogno tramite un servizio digitale sui loro smartphone. Invece di pagare decine di migliaia di euro per un’auto che sta ferma per il 90% del tempo, potranno ordinare qualunque auto quando lo desiderano. Per far fronte a questo cambiamento, l’industria automobilistica sarà costretta a passare a un modello incentrato sulla domanda piuttosto che a uno orientato alla fornitura.

Il futuro delle organizzazioni
In conclusione, da una parte abbiamo le organizzazioni tradizionali caratterizzate da sistemi IT rigidi, costruiti in funzione della supply chain o delle loro applicazioni, e utilizzano processi di business e amministrativi di tipo gerarchico e con un limitato scambio di informazioni. Dall’altra invece le organizzazioni digitali impiegano sistemi IT scalabili basati su cloud, dispositivi mobili, big data e collaborazione, utilizzano processi end-to-end basati sulla collaborazione e su KPI real-time, favoriscono l’interazione social con dipendenti, clienti e partner e utilizzano l’informazione a 360°. Si tratta di un cambiamento epocale. Potranno scuola e università adeguarsi a queste nuove esigenze? La risposta è affermativa, ma con alcune riserve. C’è un malinteso comune: siamo sicuri che digitalizzazione significhi Industry 4.0? Come abbiamo appena visto, la digitalizzazione (che si esprime per esempio negli ecosistemi digitali) è la semplice sostituzione di tecnologie o metodi convenzionali con tecnologie basate sull’ICT. Oppure, è l’introduzione di tecnologie ICT per eseguire nuovi tipi di operazioni. Per esempio, se un’azienda memorizza i propri documenti in archivi cartacei, con la digitalizzazione può archiviare e gestire elettronicamente i documenti stessi. Essendo descritti da file, possono quindi essere scambiati facilmente fra i diversi reparti dell’azienda o fra l’azienda e i suoi fornitori o clienti, con la pubblica amministrazione e via dicendo.

Un nuovo modo di pensare 4.0
Le nuove tecnologie consentono di digitalizzare ogni parte del ciclo produttivo e ogni parte dell’impresa e delle sue funzioni.
A questo scopo, il mercato offre nuovi controller industriali, nuove tecnologie fieldbus, nuovi software e così via, tutti integrabili fra loro. Come, d’altra parte, era già possibile vent’anni fa, quando il termine Industry 4.0 non era ancora stato inventato. Tuttavia, se queste tecnologie fossero sufficienti a rendere un’azienda “Industria 4.0”, tutte potrebbero diventarlo e sbaragliare la concorrenza: basterebbe comprare e utilizzare qualche nuova tecnologia come il cloud, l’intelligenza artificiale, Industrial Ethernet eccetera. Purtroppo non è così. Se un’azienda non è efficiente o utilizza un business model obsoleto, le nuove tecnologie non sono di alcun aiuto. Industry 4.0 è molto di più.
È una questione di innovazione, nuovi modelli di business, un nuovo approccio al lavoro e ai lavoratori e molto altro.
Un nuovo modo di pensare che può essere acquisito più sul campo che in un’aula scolastica.